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Dott.ssa Cristina Veronese - 14 Dicembre 2022 - Pedagogia
Per parlarvi di come l’arteterapia possa essere un buono strumento di lavoro con le famiglie e di come questo renda possibile un dialogo tra i membri, partirò col presentarvi Luca, la sua famiglia e il loro primo approccio con i materiali artistici.
Luca è un bambino di 7 anni e viene descritto dai genitori come capriccioso, irascibile, scontroso ma anche buono e dolcissimo. Il nucleo della questione sta nella sua difficoltà a tollerare qualsiasi frustrazione, la gestione della rabbia e i piccoli e grandi problemi riscontrati nella sua vita quotidiana (a scuola come in casa). Luca chiede che siano i genitori a calmarlo nei momenti di crisi, ma anche di assecondare ogni sua richiesta (portargli l’acqua, sostare al parco finché lui lo ritiene necessario, preparargli la cartella etc..). Le fasi di crisi si intensificano quando sente di non farcela ma soprattutto quando i due genitori sono impegnati in attività lavorative o ricreative, richiedendo la loro costante e pedante attenzione. Qualora la sua richiesta non possa essere accolta, allora Luca si dimena in pianti, urla, strattoni, atteggiamenti distruttivi nei confronti di oggetti. I genitori che si sentono in balia del figlio ed esausti dall’eccessivo comportamento eteroaggressivo, chiedono che il bambino svolga un percorso di arteterapia per aiutarlo a gestire la sua rabbia. Luca si presenta come un bambino sicuro di sé e apparentemente sfacciato, durante i primi incontri mi provoca rompendo e rovinando ciò che crea e/o i miei materiali. Solo dopo qualche tempo diventa gentile, dolce, affidabile e mi confida la sua creatività e le sue paure.
Dopo qualche colloquio con la madre e il padre e un po’ di incontri col bambino mi rendo conto che il conflitto dei due genitori destabilizza enormemente Luca e che la sua rabbia è legata al suo sentirsi poco capito e accolto. La situazione mi è comunque poco chiara così propongo al nucleo di fare un incontro di arteterapia di gruppo in cui io possa osservare alcune delle dinamiche famigliari. Chiedo che intervenga anche la sorella Giada, una giovane ragazza di 14 anni che propone, secondo i genitori, un comportamento talvolta accogliete, altre espulsivo nei confronti del fratello, in generale un atteggiamento provocatorio e conflittuale col padre.
Srotolo al centro della stanza un foglio bianco alto un metro e mezzo e lungo 3 metri, dispongo ordinatamente i materiali convenzionali (matite colorare, pennarelli a punta fine e grossa, tempere, gessetti, cere colorate, pastelli a olio, matite) e alcuni strumenti quali gomme e fobici ai lati della stanza. Quando i quattro vedono la grandezza del foglio restano positivamente stupiti e desiderosi di iniziare (soprattutto i grandi che come spesso capita non dipingono o colorano per il gusto di farlo da diversi anni).
Spiego al gruppo che l’incontro si svilupperà in due fasi. Nella prima fase chiedo ai due genitori di iniziare a preparare uno sfondo su tutto il foglio. Solo successivamente potranno intervenire i due figli. Nella seconda fase tutti i membri del gruppo dovranno, a secondo del risultato svolto, aggiungere personaggi, oggetti, elementi vari, tutto ciò che secondo loro è necessario inserire e che quindi manca. L’unica ed essenziale regola è che i quattro membri non possono parlare.
I due genitori iniziano a lavorare sul foglio e preparano con le tempere acriliche e senza apparente accordo un paesaggio, un cielo nella parte alta e un prato nella parte bassa. Successivamente ampliano il lavoro con molti particolari (uccelli e nuvole; fiori, stagno e alberi). Quando i due ritengono di aver terminato, propongo a Luca e Giada di prenderne parte. Giada manifesta un certo fastidio e vorrebbe dire qualcosa, ma quando le ricordo la “regola fondamentale”, tace e col broncio inizia il lavoro mentre il fratello resta immobile davanti al grande foglio. Tento di sollecitare Luca e con il mio sostegno sceglie una matita, si avvicina al bordo inferiore e disegna un omino altro circa 8 cm (considerando la grandezza del foglio e i colori sottostanti non si vede nemmeno).
Nella seconda fase i quattro sono seduti al tavolo e ognuno disegna gli elementi mancanti (su fogli A4 che poi ritaglieranno e incolleranno): il padre aggiunge una casetta che in fase di verbalizzazione vorrebbe fosse tutta per sé, la madre animali vari poiché sono la sua passione, Giada una casa più vari elementi naturali mentre Luca, ancora una volta resta a guardare e non lavora. Solo quasi alla fine disegna un cavallo della stessa grandezza dell’omino che poi gli posizionerà accanto. In questa fase, i quattro non riescono a mantenere il silenzio nonostante la regola, tant’è che Giada accortasi della casa disegnata del padre gli chiede di cambiare soggetto ma lui respinge la richiesta poiché la sua “è fatta meglio”. Giada si offende, si innervosisce e far per andarsene, dunque la fermo e le riferisco che ognuno può inserire ciò che vuole (possono coesistere due case sullo stesso foglio) e quindi prosegue. Tutti i componenti del gruppo incollano i loro elementi sul foglio (non senza commenti).
In questa fase è solitamente richiesta una riflessione su quanto realizzato ponendo attenzione all’emotività e alla qualità dei pensieri scaturiti durante il processo e alla sua conclusione, dunque un’elaborazione dell’esperienza tutta, non solo del prodotto. Restituisco parola a ciascun componente e scelgo di partire da Giada che freme ed è visibilmente arrabbiata. La ragazza riporta ai due genitori che essi esagerato: hanno preparato uno sfondo troppo ricco, intrusivo quasi impossibile da modificare, a suo parere privo di spazio per loro. Luca non proferisce parola e resta timidamente in disparte anche quando gli chiedo di raccontare il suo processo creativo (pratica a cui ormai è abituato ed allenato e che solitamente apprezza). I due genitori restano basiti dal commento di Giada e non lo ritengono congruente né con le loro intenzioni né tanto meno con quanto poi sviluppato. Giada si scaglia contro il padre per essersi sentita offesa dal suo commento, mentre lui banalizza la questione. La madre dunque prende le difese della figlia e si scusa per aver svolto un lavoro eccessivamente carico. Ascoltate le ragioni di tutti, tento di aprire un dialogo con e per Luca, ma lui resta in silenzio e riferisce solo di aver inserito il cavallo per fare compagnia al suo omino. L’incontro si concluse con alcune mie considerazioni in cui legittimo le posizioni riportate da ciascuno compresi i silenzi.
Mi sono dilungata e sono scesa nei particolari per due motivi: in primis ritengo possa essere interessante far conoscere più nel dettaglio cos’è o come si svolge (almeno strutturalmente) un incontro di arterapia (tenendo però a mente che il processo stesso può essere sviluppando in svariati modi e secondo le modalità più differenti); da queste sequenze sono evidenti (ma non scontate) alcune dinamiche famigliari preziosissime che non avrei potuto osservare in un incontro individuale e questo permette di sottolineare la particolarità dell’arteterapia svolta in gruppo.
Non mi soffermerò in letture superficiali e quindi sterili, tanto meno mi dilungherò in interpretazioni personali che sono il frutto del mio bagaglio di premesse più o meno consapevoli e di pregiudizi ma che non tengono conto della complessità del sistema famiglia. I sistemi così come le immagini prodotte non chiedono di essere interpretate, ma interrogate. Così le osservazioni che seguono sono pertanto domande che chi conduce si pone e pone a chi realizza. Le riflessioni dunque aprono strade e indicano alcune delle possibili vie percorribili.
Pertanto qui vorrei condividere le potenzialità che l’incontro di gruppo e l’utilizzo dei materiali scelti ma soprattutto la relazione che questi due elementi -famiglia e processo artistico- hanno sviluppato in un dialogo che è solo una parte di un “processo famigliare continuo”.
Prossimo passo allora sarà sostenere un movimento, un cambiamento che dia voce ai membri affinché ognuno senta di essere prima visto e poi riconosciuto all’interno del sistema. Si tratterà di offrire spazi creativi e simbolici che diano loro la possibilità di giocarsi in relazioni differenti, forse ora più rispettose.
Concludendo, vorrei sottolineare che in questo e altri casi è “ideale” un lavoro col nucleo famigliare e questo perché talvolta le fatiche comportamentali ed emotive dei bambini/e sono il frutto di un sistema famigliare attualmente incagliato in dinamiche (o meglio pattern) ripetitive, estremamente rigide, sofferenti che portano il soggetto a manifestare il disagio con gli strumenti che meglio conosce (la rabbia, l’ansia, la frustrazione, l’insonnia etc..). Quindi è compito della famiglia (dei genitori in primis) prendersi cura del sistema rivedendo il suo funzionamento: i suoi riti, le regole implicite ed esplicite, le premesse e quindi le pratiche comunicative ed educative.
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